Escalation di violenza al confine tra Sudan ed Etiopia, dopo l’uccisione la settimana scorsa di sette militari e un civile sudanesi da parte milizie indicate da Khartoum come Amhara.
Il 27 giugno il Sudan ha richiamato in patria il proprio ambasciatore in Etiopia, denunciando come una vera e propria esecuzione l’uccisione dei propri militari e del civile sudanesi, prima catturati e poi barbaramente uccisi da alcuni uomini armati.
Lo stesso giorno il governo di Addis Abeba ha confermato l’uccisione dei sudanesi, ammettendo come l’episodio sia avvenuto in territorio etiopico, sostenendo tuttavia come i sette militari e il civile fossero stati catturati dopo aver oltrepassato illegalmente il confine, in quella che il governo etiopico ha definito come una “incursione” congiunta con forse del TPLF (https://addisstandard.com/news-ethiopia-regrets-sudanese-soldiers-loss-of-life-vows-to-investigate-as-sudan-accuses-it-of-executing-seven-soldiers/).
L’Etiopia ha respinto energicamente le accuse formulate dal Sudan, sostenendo che nessuna unità dell’ENDF fosse presente nell’area, ed aggiungendo come l’episodio sia parte di una strategia finalizzata a far deragliare i rapporti tra i due paesi (https://www.france24.com/en/live-news/20220629-alarm-mounts-over-escalating-ethiopia-sudan-border-tensions).
Ad accusare le forze speciali Amhara della responsabilità delle esecuzioni e della crisi regionale, sebbene da una differente prospettiva, è stato anche il portavoce del TPLF, Getachew Reda, che il 1° luglio nel corso di una intervista ha apertamente accusato il governo regionale dello stato dell’Amhara della responsabilità delle violenze, sostenendo come queste siano parte di un preciso disegno volto ad impossessarsi delle fertili terre della regione dell’al-Fashaga. Terre che il precedente governo etiopico – quando il TPLF era ancora al potere ad Addis Abeba – aveva espressamente riconosciuto come parte del territorio sudanese (https://borkena.com/2022/07/02/getachew-reda-tplf-makes-sudan-amhara-forces/).
Nonostante l’invito di Addis Abeba ad evitare un’escalation militare, tuttavia, il giorno successivo le forze armate sudanesi hanno sferrato un’offensiva militare nell’area dell’al-Fashaga, con l’obiettivo di colpire e respingere oltre la linea di confine quelle che sostiene essere unità delle forze speciali Amhara, facendo ampio use di artiglierie e dell’aviazione.
L’operazione militare sudanese ha permesso all’esercito di Khartoum di riprendere il controllo il 28 giugno delle aree di Kala-Leban, delle colline di Tesfai Adawi e di Barkhat, catturando numerosi militari – definiti come parte delle forze federali dell’ENDF – e distruggendo un gran numero di veicoli per il trasporto delle truppe (https://sudantribune.com/article260803/).
Il governo etiopico ha confermato l’attacco, sebbene senza fornire dettagli circa l’esito dei combattimenti, pur accusando il Sudan di aver fatto uso di armamenti pesanti e dell’aviazione.
L’escalation di violenza lungo il confine tra Sudan ed Etiopia vanifica gli sforzi dei mesi scorsi attraverso i quali entrambi i paesi avevano cercato di definire in modo non conflittuale l’irrisolta disputa sull’area dell’al-Fashaga, rivendicata dal Sudan sebbene da lungo tempo abitata da agricoltori e allevatori etiopici.
La crisi militare dell’ultima settimana sembra anche confermare le difficoltà del governo federale etiopico nella gestione delle milizie degli stati regionali, e in particolare quelle Amhara, che operano in modo sempre più autonomo e indipendente nel perseguimento di obiettivi politici e militari scaturiti in seguito al conflitto nel Tigrai, ponendo una grave minaccia per la stabilità nazionale dell’Etiopia e, più ad ampio raggio, quella regionale.