I frutti della visita ufficiale di quattro giorni (8-12 luglio) del Presidente Mohamud in Eritrea si sostanziano in un protocollo di intesa con l’omologo Afwerki sul rafforzamento delle relazioni militari e diplomatiche ed economiche bilaterali, dall’agricoltura alla sanità.

Ovvio il cenno ai circa 5.000 soldati somali inviati nel Paese nel 2019-2020 per finalità di addestramento e – come ipotizzato, ma mai acclarato – per prendere poi in effetti parte all’offensiva etiope in Tigray. Mohamud riafferma l’impegno al loro rientro in patria, ha incontrato successivamente a Mogadiscio il comitato che chiede da tempo lumi sulla vicenda, ma non appare aver fornito loro informazioni e tempi più certi.

Il testo dell’MoU è ad ogni modo piuttosto vago e permane, al fondo, qualche disallineamento ma l’intesa cementa via Eritrea un fronte che si vorrebbe tripartito e comune con l’Etiopia stessa, che al lato politico-militare unisca quello economico-commerciale. Il Presidente somalo si è poi recato in Kenya (14 luglio), per curare anche l’altro lato della necessariamente ampia politica regionale di Mogadiscio – dopo EAU, Turchia e appunto Eritrea.

Qui i frutti appaiono più concreti. Riaperto il commercio bilaterale del khat, dopo un blocco imposto due anni orsono; riaperti inoltre i voli diretti tra il Kenya e Mogadiscio. Il gesto di buona volontà serve a stemperare tensioni cresciute sotto la presidenza somala di Farmajo. Dopo la conclusione della sentenza della Corte Internazionale di Giustizia sul confine marittimo, che ha attribuito alla Somalia la maggior parte dell’area contesa, le tensioni culminarono in una disputa in seno all’IGAD (Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo tra gli Stati del Corno d’Africa) su percepite intromissioni keniote.

Al ritorno, Mohamud ha poi visitato Gibuti (17 luglio), parte in questa stessa diatriba. Quel Presidente Guelleh ha conferito a Mohamud la più alta onorificenza nazionale, un gesto simbolico distensivo.

Mancava a questo punto una visita in Etiopia, che è la seconda tappa del 17 luglio; in programma incontri di alto livello.

Gli sforzi diplomatici sono completati sul piano internazionale dall’assistenza umanitaria da parte europea e statunitense, per forniture di derrate alimentari. L’UE ha inoltre approvato un contributo da 120 milioni di euro per ATMIS (Missione di transizione dell’Unione africana in Somalia), mentre anche l’ambasciatore degli USA Andre non esita a dichiarare un più forte impegno anche sul contrasto al terrorismo nell’ambito della nuova strategia annunciata dalle Autorità locali. Il Premier Barre ha incontrato invece l’Ambasciatore della Cina a Mogadiscio.

Una autobomba è esplosa a Jowhar (17 luglio), mentre una sparatoria tra opposte fazioni era avvenuta all’aeroporto di Bosaso (Puntland) dopo l’arrivo del Vicepresidente del Parlamento (11 luglio). Questi episodi illustrano quanto multiformi siano tuttora le minacce alla stabilità.

Le tensioni tra il livello federale e le Autorità del Puntland sorte dopo l’elezione dei Vertici istituzionali non accennano a diminuire; vi contribuiscono i viaggi all’estero del Presidente regionale Deni, che si è recato negli EAU e in Etiopia e prova a ritagliarsi un ruolo internazionale, a guisa di quanto già visto con il Somaliland e in parte con l’Oltregiuba, il cui Presidente Madobe è stato a colloquio con funzionari britannici. Anche la pubblicità data alla vicenda dell’atleta somalo-britannico Mo Farah – vittima di una tratta internazionale di esseri umani durante la sua infanzia, su cui le autorità di Londra ora promettono di investigare – evidenzia i legami su quel versante della politica internazionale.

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