Un attentato nel Basso Scebelli condotto da un attentatore suicida ha colpito e ucciso il sindaco di Merca e altre 10 persone (27 luglio). Lo scoppio di un ordigno esplosivo artigianale (un kamikaze secondo altre fonti) all’esterno di una moschea a Baidoa (Sud-Ovest) alla conclusione della preghiera del venerdì (29 luglio), ha inoltre ucciso un Ministro regionale, suo figlio e un terzo civile; 11 persone sono rimaste ferite. L’evento non è stato rivendicato, ma le Autorità ne considerano responsabile il gruppo Al Shabaab.

In precedenza (27 luglio), l’Etiopia aveva dichiarato di aver ucciso 209 militanti del gruppo, in risposta all’attacco transfrontaliero condotto in territorio etiope. La minaccia jihadista risulta in aumento, in particolare in questa fase in direzione dell’Etiopia oltre a quella più tradizionale verso il Kenya dove sono attese a breve le elezioni.

Gli ultimi sviluppi rinfocolano nel Sud e alla frontiera tra Somalia ed Etiopia tensioni che risalgono ai primordi del jihadismo somalo, alla metà degli anni Duemila e al periodo dell’Unione delle Corti Islamiche. Queste giunsero in breve tempo nel 2006 a controllare Mogadiscio, avendone estromesso i signori della guerra lì insediati dopo lo scoppio della guerra civile. Per ricreare un afflato comune, l’Unione riproponeva i precetti moderati dell’Islam, utili a rinnovare i fondamenti di una comune coabitazione; allo stesso tempo alcuni suoi esponenti non esitavano a propugnare ideologie più radicali, altri la retorica nazionalista della riunificazione dei somali, anche di quelli oltrefrontiera: messaggi precedenti le Corti, ma sgraditi ai Governi di Kenya ed Etiopia. Questi orchestrarono il ritorno delle Istituzioni di Transizione allora insediate a Nairobi prima di muovere militarmente contro la capitale somala, caduta a dicembre 2006.

L’ala radicale e armata delle Corti, ovvero gli Al Shabaab, resiste da allora mantenendone i tratti insurrezionalisti e ideologici utili al reclutamento e al controllo del territorio in contrasto con gli interessi etiopi e kenioti e con Mogadiscio dipinta come ancillare e succube. Non si tratta di azioni capaci di restaurare quel periodo – ormai consegnato alla storia – quanto di sostenere la propria presenza in aree tradizionalmente sottratte ai poteri centrali. Il recente picco di attività in questa fase non è stato motivato dal gruppo dirigente degli Al Shabaab né dai leader locali, che potrebbero aver percepito una debolezza da parte di Addis Abeba alle prese con crisi interne e il raffreddamento tendenziale del rapporto bilaterale con la Presidenza Mohamud per provare a ribaltare rapporti di forza sempre diseguali. La reazione etiope ha preso anche la forma di raid aerei nei dintorni di Garasweyne e Aato nel Bakool (Sud-Ovest) il 30 e il 31 luglio.

Improbabile che queste relazioni si modifichino in modo sostanziale, dal momento che ciò dovrebbe comprendere sia un impulso deciso dai maggiorenti di Mogadiscio, sia un supporto dei decisori del Golfo, che non si scorge. Da queste parti – come anche al Cairo, dove Mohamud si è recato in visita per colloqui con il suo omologo Al Sisi – piuttosto si cerca di favorire la re-inclusione della Somalia nel contesto regionale. Perché ciò avvenga, vi è certo un tratto anti-etiope, che si rivela ad esempio nella richiesta di coordinamento sulla Diga etiope “della Rinascita” sul Nilo, strumentale a ottenere l’interlocuzione con l’Egitto. Sebbene in parte ridimensionata al ritorno di Mohamud in patria, il supporto a quelle posizioni è utile a ribadire la condanna di “azioni unilaterali” che per Mogadiscio sono da ricondurre alla disputa sul confine marittimo con il Kenya. La ripresa del commercio del khat è peraltro un segno di distensione su questo fronte.

Atteso a breve il voto del Parlamento sul Governo Barre, su cui si registra in ultimo la maggiore attenzione anche del Presidente Mohamud stesso al suo ritorno da una lunga serie di missioni nella regione. Vi è da superare la resistenza dei parlamentari – in particolare del Puntland – a un governo dal profilo “tecnico”, che esclude diversi parlamentari da cariche sinora tradizionalmente assegnate in maniera più collegiale.

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