Nel corso di un’intervista rilasciata ai primi di agosto, il vice presidente del Consiglio Sovrano di Transizione del Sudan, generale Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, ha espresso alcuni commenti sulla situazione attuale del paese, sostenendo come il regime militare abbia di fatto fallito nell’intento di portare l’atteso cambiamento. Le proteste continuano, e generano vittime, il sistema finanziario internazionale ha sospeso l’erogazione degli aiuti al paese, alimentando una crisi economica senza precedenti, e le violenze sono tornate a interessare le regioni meridionali.
Più che una critica al ruolo dei militari nel merito di ciò che è stato fatto dallo scorso ottobre ad oggi, quella espressa dal generale Dagalo nel corso dell’intervista ad Africa News è apparsa più come una critica a ciò che i militari non hanno ancora fatto, e cioè ristabilire l’ordine e impedire al paese di piombare nel caos.
Il presidente del Consiglio Sovrano di Transizione, il generale al-Burhan, ha annunciato nei giorni scorsi l’imminente formazione di un governo civile e la promessa di elezioni politiche per il giugno del 2023, sostenendo di non avere intenzione di candidarsi e di perseguire interessi politici.
Nell’intervista al generale Dagalo, il giornalista di Africa News ha chiesto al vice presidente se intendesse candidarsi alle prossime elezioni, incassando il silenzio del generale, che ha poi commentato sostenendo di non avere ambizioni politiche, ma di essere “pronto ad intervenire qualora il Sudan dovesse piombare nell’abisso” (https://www.africanews.com/2022/08/02/sudan-the-putsch-failed-says-paramilitary-general-hemedti/).
Mentre non accennano a diminuire di intensità le manifestazioni di protesta, invece, la corte penale di Khartoum ha annunciato il 3 agosto il rilascio di tre esponenti politici dei Comitati di Resistenza, tra i quali Saif al-Islam Essam, arrestato lo scorso maggio e sottoposto secondo i suoi legali a torture (https://sudantribune.com/article262278/).
Altri scandali e casi giudiziari, tuttavia, continuano ad alimentare la cronaca politica del Sudan. Il 28 luglio le autorità sudanesi hanno spiccato un mandato di cattura internazionale contro Salah Abdallah Mohamed Saleh Gosh, già direttore dell’intelligence ai tempi del regime del presidente Omar al-Bashar, ed oggi residente in Egitto. Gosh è accusato di aver esercitato illegalmente i suoi poteri per ottenere 50 milioni di dollari dall’ex proprietario della Tarco Aviation, Fadl Mohamed Kir, che avrebbe poi fatto arrestare nel 2018 e successivamente rilasciare solo dopo aver ottenuto la cessione delle quote della società di trasporto aereo (https://sudantribune.com/article262030/).
Ulteriore elemento di imbarazzo per il governo sudanese è stato provocato dalla notizia, riportata dalla statunitense CNN, secondo la quale la Russia – con la collusione di alcuni esponenti politici del governo – avrebbe esportato illegalmente tonnellate d’oro dal paese, per finanziare la sua instabile economia e la prosecuzione del conflitto in Ucraina (https://edition.cnn.com/2022/07/29/africa/sudan-russia-gold-investigation-cmd-intl/index.html).
Una vera e propria “caccia all’uomo” – così l’ha definita la CNN – sarebbe stata avviata dalle autorità sudanesi per individuare le fonti che hanno lasciato trapelare la notizia ai giornalisti americani (https://edition.cnn.com/2022/07/31/africa/sudan-protests-military-rule-intl-hnk/index.html), mentre i sospetti per l’operazione convergono sempre più intorno alla controversa figura del generale Dagalo, notoriamente l’esponente della giunta militare più vicino alla Russia.
Le posizioni rispetto a USA, Cina e Russia all’interno della giunta militare continuano ad essere diverse, per molte ragioni. Il generale al-Burhan ha cercato di mantenere un profilo pragmatico con Washington, ignorando le richieste russe connesse all’apertura di una base navale sul Mar Rosso e restando cauto sulle prospettive di un consolidamento del rapporto con Mosca e Pechino, con l’intento primario di non ostacolare l’erogazione degli aiuti finanziari del Fondo Monetario Internazionale, poi comunque sospesi successivamente al colpo di stato dello scorso ottobre.
Al contrario, il generale Dagalo manifestamente sostiene la necessità di un più solido ed intenso rapporto con la Russia – cementato anche da un recente viaggio a Mosca di ben dieci giorni – e di una crescita delle relazioni con la Cina, coltivando l’ambizione di non dover integrare le Forze di Supporto Rapido poste al suo comando all’interno del dispositivo delle forze armate, e, attraverso questa autonomia delle sue milizie, continuare ad esercitare un ruolo centrale tanto nell’ambito politico quanto in quello economico del paese.
Ne consegue, pertanto, una manifestazione delle posizioni ufficiali del governo in tema di politica estera assai spesso contraddittoria e conflittuale. Il recente annuncio alla fine di luglio della nomina di un nuovo ambasciatore USA a Khartoum, John Godfrey, dopo 25 anni di assenza della diplomazia americana dal paese (il 2 agosto è stata annunciata anche la riapertura a Khartoum e a Porto Sudan del centro culturale americano), costituisce senza dubbio un importante segnale di disgelo con una parte delle autorità politiche e militari del paese, sebbene non condiviso tanto da una parte delle forze di opposizione quanto da alcune frange dell’apparato militare, e in primo luogo il generale Dagalo e le sue milizie delle Forze di Supporto Rapido.
Non stupisce più di tanto in questo contesto di forte polarizzazione politica, quindi, l’esternazione del 3 agosto da parte del ministro degli Esteri Ali al-Sadiq in merito alla questione di Taiwan e al viaggio del portavoce della Camera USA Nancy Pelosi nell’isola. Il ministro ha ribadito il sostegno del Sudan alla Cina e la piena condivisione delle ragioni di Pechino nel merito della questione di Taiwan, senza tuttavia esprimere particolari considerazioni nel merito della missione USA (https://sudantribune.com/article262292/).