Nuovi eventi di terrorismo a matrice Al Shabaab hanno interessato Mogadiscio dove colpi di mortaio sono caduti nei pressi del palazzo presidenziale, con 3 vittime e 11 feriti. Nell’interno presso Mahas nell’Hiraan, invece, uno scontro a fuoco promosso da militanti contro un convoglio che trasportava aiuti alimentari è costato la vita ad almeno 20 persone (https://www.garoweonline.com/en/news/somalia/au-forces-vow-action-after-deadly-somalia-attack).

Il bilancio dei fatidici primi cento giorni della Presidenza Mohamud è in chiaroscuro e soprattutto il tema della sicurezza interna è un fattore di involuzione. Fonti locali evidenziano soprattutto l’errore di aver promesso importanti risultati nel contrasto all’insorgenza senza aver fatto seguire adeguata preparazione sia militare sia della società somala in vista di tale obiettivo (https://somaliguardian.com/news/somalia-news/hassan-sheikh-mohamuds-first-100-days-success-or-failure/).

La politica è anzi più divisa, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con i governatori regionali, a partire dal Puntland il cui leader Deni aspirava a ricoprire la carica di Primo Ministro, nomina invece gestita da Mohamud stesso e affidata a un politico dell’Oltregiuba. Non appaiono granché migliori anche i rapporti con gli altri Presidenti: un test della capacità di contenere le spinte centrifughe sarà dato dall’eventuale approvazione di proroghe decise dai Parlamenti regionali.

I Presidenti affermano di voler così prevenire manovre volte a sostituirli di intesa con le opposizioni. Gli Stati hanno deciso inoltre di interrompere la collaborazione con Mogadiscio in tema di finanze – non essendo state accolte loro richieste sulla redistribuzione degli aiuti e degli investimenti dall’estero. Sarà questo il terreno su cui misurare progressi o nuove battute d’arresto di qui alla fine dell’anno.

Queste tensioni sono appunto frutto anche della priorità data da Mohamud a curare i rapporti diplomatici, in primis con i Paesi del Golfo – qui preferendo soprattutto il rapporto con gli Emirati Arabi Uniti – e poi con i vicini nella regione, con il recupero soprattutto di migliori rapporti con il Kenya. Tale scelta è stata visibile nei numerosi viaggi intrapresi all’estero, che hanno preceduto quelli in patria e sono stati sovente accompagnati da accordi commerciali o in materia di difesa.

I risultati andranno valutati nel tempo. La centralità del supporto emiratino nel contrasto alla siccità e di quello keniota per favorire gli scambi economici è innegabile. Essa, tuttavia, giunge a discapito dei legami con Qatar ed Etiopia, in un gioco che si conferma a somma zero.

La visita del nuovo Capo di AFRICOM (Comando militare statunitense per l’Africa), Gen. Michael Langley – parte di un tour di quattro giorni che ha toccato anche Gibuti e Kenya (https://www.radiodalsan.com/en/76907/2022/09/langley-makes-first-visit-to-africa-as-commander/) – evidenzia come vi siano stati dei progressi su questo lato, con una Presidenza Mohamud che invece scontava la decisione di ritiro delle unità statunitensi.

Il plateale rientro e le visite ufficiali rispondono anche a precisi interessi di Washington, che questa Amministrazione ha saputo tuttavia sin qui re-interpretare, pur nell’equilibrismo con altre controparti, ad esempio con Pechino. Pubblicità è stata data all’incontro on l’Ambasciatore di Pechino Fei, evidenza di questo tratto (https://shabellemedia.com/somali-president-hassan-sheikh-receives-chinese-ambassador/).

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