Dopo una tregua di cinque mesi i combattimenti nella regione del Tigrai, in Etiopia, sono ripartiti il 24 agosto, ma cosa sappiamo in merito? Ancora non è chiaro quale delle due parti si sia ritirata prima né chi abbia sparato il primo colpo che ha riacceso il conflitto.
Fino alla settimana precedente al 24 le speranze per un processo di pace erano alte, il comitato istituito dalla FDRE aveva iniziato ufficialmente i lavori in luglio e nelle sessioni di incontri tenutesi alle Seychelles e a Gibuti sembrava che un accordo si fosse delineato. La FDRE avrebbe posto fine all’assedio, l’Eritrea avrebbe ritirato le truppe e il dialogo vero e proprio per terminare il conflitto sarebbe iniziato a Nairobi.
Nel mezzo del processo pare che siano state le elezioni nazionali keniane – che hanno visto la vittoria del candidato rivale di Kenyatta – a generare la fumata nera. Il processo di pace infatti poggiava sostanzialmente sul coinvolgimento personale dell’ex presidente, mentre Abiy Ahmed si è immediatamente congratulato con William Ruto, una mossa che potrebbe rivelare le flebili speranze che il Primo Ministro etiopico riservava al processo di pace.
A Kobo, che si trova fra l’Amhara e il Tigrai, pare ci sia stato uno scontro acceso e le prime fonti affermano che la vittoria sia andata al TPLF, in uno scontro che vedeva ben 20 divisioni della FDRE impegnate. Sembra in ogni caso che l’esercito etiopico e le milizie Fano avessero mobilitato ingenti forze nell’area nelle precedenti settimane, mentre l’esercito del TPLF pare abbia coscritto in massa numerosi tigrini e che abbia dedicato le sue forze ad un riarmo massiccio, sia grazie alle requisizioni dell’armamento nemico che a spedizioni dall’estero.
La probabilità che il conflitto subisca un’escalation è comunque elevatissima dato che entrambe le parti hanno avuto tempo a sufficienza per riprendersi dalla prima fase della guerra. Nel Tigrai dell’Ovest il combattimento è già ripartito, e qui la milizia Fano e le forze eritree ancora occupano il territorio mentre a nord, dove stazionano altre truppe eritree, e ad est verso l’Afar, ancora non ci sono segnali di rinnovati scontri.
Probabilmente Abiy ha cercato di sfruttare questi mesi di tregua per indebolire maggiormente la popolazione tigrina, infatti l’assedio a cui è sottoposta la regione è stato solo allentato in questo periodo ma non è mai stato tolto. La fame intanto sta decimando i tigrini – le stime sono solo provvisorie e rischiano di sottostimare gravemente l’entità dei morti nella regione del nord del paese – e secondo le fonti locali quest’anno mezzo milione di persone potrebbe morta per eventi collegati alla scarsezza di cibo, mentre, ad oggi, 5,5 milioni (su una popolazione di 7 milioni di persone) potrebbero essere sull’orlo della carestia. Il WFP, in un report, ha affermato che “la fame si è aggravata, i tassi di malnutrizione sono saliti alle stelle e la situazione è destinata a peggiore fino all’inizio del raccolto di quest’anno ad ottobre”.
La situazione nel paese, con il rinnovo del conflitto, è comunque destinata a peggiorare. Oltre al nord, gli attacchi dell’OLA in Oromia e anche un attacco di Al-Shabaab fanno preoccupare per la stabilità del paese. Inoltre, secondo Alex de Waal, “in numerose aree rurali i salari governativi non sono pagati e l’amministrazione locale è assente. Dietro alle facciate patinate della capitale Addis Abeba, ecco come si presenta il fallimento dello stato”.