Numerosi manifestanti sono tornati per le strade di Khartoum lo scorso 13 settembre per protestare contro il perdurante ruolo delle forze armate nella gestione politica del paese, ma anche per manifestare il proprio rifiuto a qualsiasi ipotesi di compromesso con le forze armate nella gestione della transizione politica (https://www.aljazeera.com/gallery/2022/9/14/photos-thousands-continue-anti-military-coup-protests-in-sudan).
L’Associazione Professionale Sudanese (SPA) e altre formazioni dei comitati di resistenza, infatti, hanno fortemente criticato la decisione delle Forze per la Libertà e il Cambiamento (FFC) di partecipare ai colloqui promossi dal Quad (Stati Uniti, Gran Bretagna, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) con l’inclusione dei rappresentanti delle forze armate. Colloqui ai quali, tuttavia, secondo quanto riferito da un alto esponente delle FFC, la coalizione politica non sarebbe stata invitata a partecipare.
Nell’ambito dell’incontro promosso da Quad, il 15 settembre, il presidente del Consiglio Sovrano di Transizione e il suo vice, i generali al-Burhan e Dagalo, hanno invece confermato l’intenzione delle forze armate di non prendere parte al costituendo governo di transizione, rinnovando il proprio impegno nel favorire la transizione in direzione di un governo a guida civile. Al tempo stesso, tuttavia, hanno aggiunto di essere impegnati nella costituzione di un Consiglio militare che dovrà gestire le questioni di sicurezza e di interesse della difesa del paese nella fase di transizione, destando perplessità in seno alle forze politiche di opposizione. La proposta per l’organizzazione di un governo di transizione formulata la settimana scorsa dall’associazione degli avvocati sudanesi, infatti, prevede la costituzione di un consiglio per la sicurezza nazionale guidato da un’autorità civile, mentre quanto comunicato dai vertici militari lascia trasparire l’avvio di una iniziativa autonoma da parte delle forze armate, che sarebbe in aperta contraddizione rispetto alla proposta formulata in seno al quadro politico delle opposizioni (https://sudantribune.com/article264141/).
Con una nota diramata il 17 settembre dal portavoce del presidente del Consiglio Sovrano di Transizione, il generale al-Burhan ha tuttavia gelato le aspettative delle forze politiche di opposizione. Il portavoce Tahir Abu Haja ha infatti comunicato come il generale al-Burhan intenda favorire la transizione del potere nelle mani di un governo civile che sia esplicitamente indipendente e non espressione di un mero accordo di suddivisione dei seggi tra le forze politiche. Un accordo, quindi, che includa tutte le formazioni politiche sudanesi e non solo le principali forze di opposizione al governo militare (https://sudantribune.com/article264174/).
L’ex vice segretario del Movimento Popolare di Liberazione del Sudan (SPLM), Yasir Aman, ha pubblicato la settimana scorsa un articolo di denuncia sul quotidiano Sudan Tribune, sostenendo come esponenti dell’area islamista riconducibili al passato regime, attraverso i propri aderenti del Movimento Islamico affiliato al Partito Nazionale del Congresso, si sarebbero riuniti pochi giorni prima per progettare azioni volte a sabotare il processo di transizione e favorire il consolidamento del proprio potere. In particolar modo, secondo Aman, queste forze starebbero tramando per alimentare le divergenze tra le componenti militari e le FCC ma anche per favorire il contrasto tra le forze armate regolari (e quindi quelle posto la responsabilità operativa del generale al-Burhan) e le milizie delle Forze di Supporto Rapido (riconducibili invece al generale Dagalo) (https://sudantribune.com/article262428).
La divulgazione della notizia è stata seguita da un comunicato ufficiale delle forze armate, a nome del Brigadiere Generale Nabil Abdallah, secondo il quale nessuna forza politica può influenzare o sfruttare le forze armate nel perseguimento della propria agenda, ribadendo l’impegno dei militari per la transizione del paese nelle mani di un governo civile (http://sudantribune.com/article264125).