Il governo dell’Eritrea risponde alle crescenti accuse mosse da più parti in sede internazionale con riferimento alla questione dei diritti umani nel paese e alla partecipazione nel conflitto del Tigrai.

Il 29 ottobre alle Nazioni Unite di Ginevra Mohamed Babiker, Rapporteur Special sulla questione dei diritti umani, ha chiesto all’Eritrea di “rilasciare i bambini, prigioni politici e le centinaia di persone scomparse o imprigionate per il proprio credo, permettendo l’esercizio dei loro diritti di libertà religiosa”.

Affermazioni che hanno generato l’immediata replica del ministro dell’informazione eritreo Yemane Meskel, secondo il quale lo SR Babiker ha “ecceduto la propria autorità di condannare l’Eritrea”, dimostrando come sia presenta una dichiarata volontà da parte di alcuni stati di attivare una vera e propria “caccia alle streghe”.

Sempre il sito del ministero dell’informazione, invece, ha pubblicato due documenti dedicati al conflitto in Tigrai e alle affermazioni del Museo dell’Olocausto di Washington.

Il primo documento contiene ancora una volta l’interpretazione eritrea della genesi del conflitto in Tigrai, addebitando interamente al TPLF la responsabilità dello stesso ed elencando i principali elementi atti a suffragare la posizione dell’Asmara. Nessun cenno, come sempre, nel merito delle accuse mosse sul piano internazionale alla partecipazione nel conflitto (https://shabait.com/2022/10/26/the-tplf-and-a-commitment-to-peace/).

Il secondo documento è invece il testo della lettera inviata dall’ambasciata eritrea a Washington al Museo dell’Olocausto, in risposta ad un comunicato del museo stesso, diramato lo scorso 25 ottobre, in cui si faceva riferimento “all’accresciuto rischio di genocidio e atrocità di massa nella regione del Tigrai, in Etiopia” (https://shabait.com/2022/10/27/open-letter-to-holocaust-museum/). Ancora una volta, le parole del comunicato del museo vengono indicate come “accuse diffamatorie” propalate dal TPLF.

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