La mattina del 24 ottobre, la polizia keniana ha aperto il fuoco e ucciso Arshad Sahid, un noto giornalista pakistano, ad un posto di blocco a 30km dalla capitale, Nairobi. Le circostanze dell’accaduto rimangono ancora incerte, con la polizia che avrebbe rilasciato dichiarazioni contraddittorie a riguardo. La versione ufficiale riportata dalla polizia e dal governo keniano, sostiene che il giornalista sia stato ucciso per uno scambio di persona.
Sahif era un oppositore del governo di Shehbaz Sharif (suo omonimo), e un aperto sostenitore di Imran Khan, primo ministro pakistano fino all’aprile di questo anno, quando il parlamento gli tolse la fiducia. Sahif si era fatto svariati nemici, con il suo programma bandito dal paese, in quanto aveva detto che i militari erano coinvolti con il cambio di governo pakistano. Era uscito dal paese anche su consiglio dello stesso Khan che sostiene di aver saputo di trame contro il giornalista già all’inizio dell’anno.
In Pakistan, gli oppositori del governo, alla storia dello scambio di persona, non credono affatto. Pensano infatti che, anche se l’operazione è avvenuta in Kenya, questa sarebbe stata architettata in Pakistan.
Ci sono dei dettagli specifici su cui la task force con membri di entrambi i paese, istituita per far chiarezza su quanto avvenuto e condurre le indagini, dovrebbe soffermarsi. Per prima cosa, lo scambio di persona riguarderebbe una macchina rubata, ma modello e forma sarebbero completamente diversi da quelli in cui viaggiava il giornalista. In secondo luogo, molti si chiedono perché la polizia stesse mirando ad altezza uomo, anziché tentare di forare le ruote e arrestare la marcia del veicolo.
Questo si collega alle versioni divergenti date dalle forze dell’ordine. In un primo momento, la polizia aveva dichiarato che dal veicolo era stati esplosi inizialmente dei colpi, a cui la polizia avrebbe poi risposto aprendo il fuoco a propria volta. Nella versione ufficiale però la motivazione sarebbe che la macchina dove viaggiava il giornalista non si fosse fermata al posto di blocco.
In un contesto di tumulto in Pakistan per la morte del giornalista, il governo di cui Sahif era oppositore si è dichiarato disponibile ad accertare le cause della morte, in un’operazione congiunta con un reparto speciale delle forze dell’ordine keniane.